Marcelo BARROS, Luiza E. TOMITA e José Maria VIGIL, I volti del Dio liberatore. Le sfide del pluralismo religioso, EMI, Editoriale Missionaria Italiana, Bologna 2004, 160 pp. Richieste e informazioni: a SERMIS
 

Il pluralismo religioso letto dai presupposti della teologia della
liberazione: un modo cristiano per affrontare il dialogo interreligioso.

Lo affermano alcuni teologi latinoamericani

Le religioni devono sottoporsi al giudizio della coscienza universale nei loro sforzi di rivelare diritti umani e promuoverli»: così affermava il vescovo di Algeri Henrì-Tessier riguardo alla molteplicità :delle religioni e al loro rapporto con umanità. Un tema attuale, su cui la elogia si interroga e su cui non man mano percorsi di ricerca e di riflessione significativi.
Uno è quello indicato da un recente volume edito dalla Emi, dal titolo I volti del Dio liberatore, che riprende i contributi di vari teologi,appartenenti alla teologia della liberazione, tra cui Marcelo Barros, Luiza Tornita, José Maria Vigil, che sono anche i curatori. Il volume è il primo di una serie di cinque pubblicazioni curate e promosse dall'ASETT-LA (sezione latinoamericana dell'Associazione ecumenica di teologi e teologhe del terzo mondo) che intende in questo modo aprire una sorta di cantiere per una riflessione approfondita su temi cruciali tra cui pluralismo religioso, a partire dalla prospettiva latinoamericana della teologia della liberazione. La teologia della liberazione in America Latina, infatti, ha già segnato nella sua agenda il confronto con pluralismo religioso. A convincerla della necessità di questo nuovo appuntamento teologico è stato il richiamo di alcuni teologi cosiddetti pluralisti" di altri contesti geografici - come A. Pieris e P. Knitter -, ma soprattutto il dialogo con la sensibilità culturale e religiosa del popolo povero dell'America Latina e le culture negate degli indios e dei neri. Scrive al riguardo Mario Menin nella presentazione della versione italiana del volume: «La teologia della liberazione, che fino a quel momento aveva adottato nei confronti della diversità religiosa latinoamericana la stessa cri-a alla religione della teologia occidentale, si inserisce nel dialogo con religioni indigene e i culti afroamericani, come pure con le più svariate forme di cattolicesimo popolare. Con una nuova apertura ermeneutica nei confronti delle religioni indigene, di derivazione precolombiana, e delle sintesi spirituali realizzate nei culti di matrice africana, la logia della liberazione si impegna a fare una nuova esperienza spirituale, promovendo la "spiritualità pluralismo religioso". Non si tratta di una rivincita del politeismo, dopo secoli di monoteismo imposto dal potere coloniale ed ecclesiastico, e nemmeno di un ritorno archeologico alle tradizioni religiose dei neri e degli indios, bensì di una nuova esperienza di Dio nell'orizzonte del pluralismo culturale e religioso, percepito come volontà positiva di Dio».

L'opzione dei poveri
II confronto con le religioni non cristiane ha dunque permesso alla teologia della liberazione (tdl) di fare un salto di qualità e di inserirsi in quel filone più ampio che è la ricerca teologica nell'ambito del pluralismo religioso, un vera e propria "teologia del pluralismo religioso". Quali siano gli elementi frutto di tale incontro è quanto tenta di evidenziare un dossier della rivista del PIME Mando e missione.
A svolgere il tema sono stati chiamati un giovane teologo francescano salvadoregno, Joaquin Garay, e il professore di teologia presso l'Istituto teologico pastorale del Cearà, in Brasile, Francisco de Equino Junior. È in particolare il primo a evidenziare la relazione tra "teologie del pluralismo" e "teologie della liberazione". Basterebbe un sottotitolo del suo articolato intervento per capire in che ambito si concretizza tale relazione: «I poveri, metro di misura delle religioni». «In questo mondo ci sono molti poveri e molte religioni»: questo è l'assunto del teologo pluralista Paul Knitter (un contributo il cui contenuto è presente nel volume della Emi) che Garay riprende e valorizza per far capire la necessità di un avvicinamento tra la tdl e la teologia del pluralismo religioso. «Da una parte - scrive di seguito -, la liberazione perseguita sarà veramente integrale solo se tiene conto dell'influenza della religione nei processi di cambiamento, dato che la sua influenza come forza ispiratrice nei popoli, in bene e in male, è indiscutibile. Dall'altro, in un contesto terzomondista, l'incontro e il dialogo interreligioso deve avere come uno dei temi necessari l'eliminazione della sofferenza e dell'oppressione». L'invito di Garay e di Knitter è che il dialogo interreligioso non rimanga un esercizio quasi accademico, ma affronti la questione della povertà in cui si trovano a vivere tre quarti della popolazione mondiale, dotandosi di una dimensione pratica e assumendo l'opzione dei poveri come suo prioritario criterio.
L’assunzione di tale criterio, "con" e "per" le vittime di questo mondo, permette infatti di essere applicato anche come criterio ultimo di conoscenza di noi stessi, degli altri e dell'assoluto, poiché esso «offre la possibilità di un criterio oggettivo per giudicare se l'accesso alla verità è carente o autentico, se una pratica religiosa è incompleta o addirittura pericolosa».
Per la tdl - ricorda Garay - i poveri non sono solo i destinatari della sua azione, ma rappresentano il luogo privilegiato e il suo punto di par-tenza: «Per la tdl l'opzione dei poveri non è etica, ma ha un fondamento teologico e cristologico,si fonda su Dio stesso e sul suo amore parziale... Dalla realtà dei poveri nascono le domande su chi è Dio, come si rivela, con chi e davanti a chi si rivela». Risuonano al riguardo profetiche le parole di mons. Oscar Romero: «Sono i poveri a dire che cos'è il mondo e qual è il servizio che la chiesa può prestare al mondo», che Garay riprende e amplia al punto da ipotizzare che «sono i poveri a dire che cos'è il mondo e qual è il servizio che ogni religione può prestare al mondo».

Per una tdl delle religioni
Ne deriva l'ipotesi di una "teologia della liberazione delle religioni" in cui i poveri - come nella tdl tradizionale - sono il "luogo teologico" per eccellenza, dove Dio si rivela nella sua prossimità, e dunque in grado di «smascherare le forme alienanti delle immagini di Dio o del divino che sono alla base di essa».
Parte da qui la riflessione di Aquino Junior che afferma che «la fede cristiana prende carne sempre nel rovescio del tempo e del luogo, dunque nella sua periferia (la Galilea), nelle sue vittime... Incontro e dialogo tra le varie tradizioni religiose della nostra epoca sono un imperativo impostori dall'interno della nostra fede. Ma la fedeltà ad essa ci obbliga a iniziarlo dalla periferia e dalle vittime del mondo». La conclusione potrebbe apparire paradossale, ma di fatto non lo è: «Ai cristiani non interessa il dialogo come tale, ma sempre a partire e in funzione, prima di tutto, dei poveri di questo mondo».
Se è vero che «la base comune per il dialogo interreligioso porta alla struttura stessa dell'essere umano, come un essere aperto a una realtà che lo trascende», è vero anche che «tale apertura ha le sue radici nella materialità della vita. Così - prosegue -una religione sarà più o meno valida nella misura in cui rende possibile un movimento di trascendenza e di relazione dell'essere umano per e con Dio. Movimento e relazionalità che presuppongono, come condizione primaria di possibilità, la soddisfazione delle necessità materiali delle persone». Perciò - conclude lo studioso - i bisogni umani della vita umana sono il problema per eccellenza (non l'unico, né l'ultimo) dell'esperienza religiosa e del dialogo interreligioso. «Prendere questo sul serio è ciò che consente e da significato a una teologia della liberazione delle religioni: una teologia fatta a partire "da" e "in" funzione dei poveri. Sono loro i giudici nostri e delle nostre teologie!».

Sabrina Magnani


I volti del Dio liberatore
II volume della Emi, che porta il sottotitolo Le sfide del pluralismo religioso, si apre con una presentazione di Pedro Casaldaliga in cui si evidenzia il significato di tali sfide. Ne riportiamo una sintesi.
«Tutti noi credenti concordiamo più o meno sul fatto che, con la fede, facciamo riferimento a un solo Essere supremo. Molti di noi si troveranno d'accordo pure sul fatto che facciamo riferimento allo stesso Dio, anche se invocato con nomi diversi... Ma quando si tratta di sistematizzare e organizzare dal punto di vista intellettuale, morale e del culto le relazioni o i nuovi legami con questo Dio unico, ci dividiamo, ci allontaniamo e spesso ci scontriamo (...).
Il concilio Vaticano II giunse finalmente ad ammettere la libertà di coscienza e riconobbe nelle religioni l'esistenza di spazi di salvezza... Sono comparsi i teologi pionieri, a volte incompresi e perfino censurati dalle istituzioni ufficiali... Si moltiplicano i testi, gli incontri, le dichiarazioni sull'argomento. Il dialogo interreligioso, il macroecumenismo, il pluralismo religioso sono ancora questioni aperte, da esplorare... C'è perfino chi dichiara che è "il" tema del giorno per la riflessione teologica... Si tratta, infatti, di un tema complesso e nuovo, che va al di là di tutti gli schemi tradizionali...
Mi sembra elementare e fondamentale evidenziare, sempre all'interno d« dialogo interreligioso, il contenuto e l'obiettivo di tale dialogo. Non si trai ta di far sedere le religioni in un salotto affinché discutano sulla religione in maniera più pacifica, chiuse in se stesse, narcisisticamente. Il vero dialogo interreligioso deve avere come contenuto e come obiettivo la causa e Dio che è l'umanità stessa e l'universo. E se nell'umanità la causa priorità ria è la gran massa dei poveri e degli esclusi, nell'universo sono la terra, l'acqua e l'aria profanati. La giustizia e l'ecologia, la libertà e la pace, la vita!»
Con la testa e con il cuore saldamente ancorati alla realtà, Marcelo Barros scrive: «La via verso la teologia del pluralismo culturale e religioso in America Latina è quella della base, dell'integrazione e della solidarietà. Riprendendo un modo di dire comune quando si parla di pluralismo, questa teologia nuova non è cristocentrica e ancor meno ecclesiocentrica. Sarà "vita-centrica", cioè centrata sul progetto di vita per tutti... Oggi più che ma è opportuno ripetere con Hans Kung che non ci sarà pace tra le nazioni si non c'è pace tra le religioni, e che non ci sarà pace tra le religioni, se noi c'è dialogo tra loro. Va aggiunto che questo dialogo sarà inutile, ipocrita “perfino blasfemo, se non farà riferimento alla vita e ai poveri, ai diritti umani, che sono anche diritti divini” (SM)

 
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